Studiamo l’Arte del Sedere Aiutando Leotta a Trovare un Uomo

Che facciamo? Ci diamo dentro con un’altra breve serie di meravigliose pubblicità recenti in onda sui nostri schermi tricolore? Ma chiaro che sì! Cominciamo di prepotenza, con il brillante rigurgito comunicativo di U-Power.

Orbene, orbene…


Come forse avrete capito, salvo essersi lasciati coinvolgere troppo dalla missione della signora Leotta, U-Power si occupa della vendita di abbigliamento da lavoro. Solo per uomo, con giusto qualche paio di scarpe da donna. D’altronde che ci dobbiamo fare noi con dell’abbigliamento da lavoro? A ogni modo, l’azienda ha avuto l’originale idea di pubblicizzare questi suoi prodotti per uomo usando una figura femminile. Di questa donna viene accuratamente enfatizzata l’avvenenza (e solo l’avvenenza), con tanto di rappresentazioni provenienti dritte dritte da una mente testosteronica plasmata dall’immaginario sessista, convinta che a una donna faccia piacere passare accanto a un cantiere e trovarsi addosso gli sguardi lussuriosi di un gruppo di uomini (no, stelle di mamma. Nel migliore dei casi mette solo a disagio, nel peggiore intimidisce). Se Leotta ride, perché non se la fanno pure le altre una risata, no? Dalla scelta della canzone a ogni singola scena visivamente mostrata, questo spot è un emblema di oggettivazione e sessualizzazione femminile, con contorno di riduzione del maschio a cacciatore-sbavatore. Lo spot vorrebbe far passare il messaggio che i prodotti U-Power rendano il maschio più attraente (“aiutatemi a trovare l’uomo U-Power”). Quanti fessacchiotti ci cascheranno? Nel frattempo, il disservizio a tutte/i è già stato servito. Cliccate qui per segnalare. Qui per scrivere all’azienda.


Passiamo a qualcosa di più leggero, con Regina.

So che spot come il precedente fanno sembrare quelli come questo immeritevoli di attenzione. Ma se il primo è critico relativamente a oggettivazione e sessualizzazione della donna, questo lo è in relazione all’altra problematica che affligge il sesso femminile: la stereotipizzazione di ruolo. L’esempio proposto dallo spot Regina è un classico, ed è semplicissimo. Il tema centrale è la pulizia e l’utilizzo del prodotto (la navigazione dell’ambito) viene affidato a una figura femminile, chiaramente inquadrata come casalinga. C’è una scena in cui compare il presumibilmente compagno, ma mentre lei pulisce e cucina, lui si limita a rattristarsi perché il giacchio è finito. Una delle tante occorrenze, insomma, che rinforzano le idee concernenti i sessi in ambito domestico. Le statistiche recenti circa le convinzioni Italiane (in ogni fascia di età) su uomini e donne evidenziano quanto, invece che rinvigorite, queste idee vadano indebolite. E invece…


Avanti il prossimo!

Un altro classico, che ricorda da vicino spot di altri prodotti discussi sul blog.
Nello spot, il povero Matteo ha avuto la febbre. Chi mai si occuperà di prendersi cura di lui, cercando di alleviare la condizione? La madre, naturalmente. Perché questa madre è single e non ci sono alternative, naturalmente. No? Eh, no. La nostra signora Nurofen ha un compagno, per il quale evidentemente non è un’opzione alzare il deretano e interrompere il sonno per prendersi cura del frutto del suo seme. Al contrario, è un’operazione da aspettarsi dalla madre. Molto carino sarebbe stato mostrare una circostanza di collaborazione, con lei che misura la febbre e lui che somministra il farmaco (per fare il primo esempio che mi viene). Ma una rappresentazione come quella scelta non fa che rinvigorire l’idea (ancora fortissimamente diffusa nella nostra cultura – ma va?) che la cura di bambini e bambine spetti alle donne, alle madri (e solo a loro – salvo mancanza di madre; caso in cui gli esemplari XY sono malauguratamente costretti a rivestire ruoli che non sarebbero loro. Ricordate lo spot Tantum Verdedol, sì?).


Continuiamo con l’ultima triste occorrenza pubblicitaria di oggi. Per questa, può servire mettersi comode/i.

“A noi Italiani, in particolare dalle nostre parti, piace studiare l’arte del sedere in tutte le sue forme”. Inquadratura di un sedere di donna che cammina e si appresta ad accomodarsi e di un sedere di altra donna che cammina, squadrata da tre uomini che potrebbero esserle padri (l’età aggiunge solo una sfumatura di disgusto extra a una scena già profondamente sgradevole). Con un cambio di tono repentino volto a generare un effetto comico, ipotizzo, lo spot inizia a parlare dei prodotti venduti dall’azienda, trasformandosi da clip che rappresenta come spassosa una situazione che provoca terribile disagio in tantissime ragazze, anche giovanissime, e donne ogni giorno a…pubblicità di un’azienda di divani, quello che avrebbe dovuto essere dall’inizio. PoltroneSofà, proprio non ce la facevi a saltare la parentesi pecoreccia e sessista (che tra l’altro delinea un’immagine di “Italiani” veramente misera e sgradevole)? Sì che ce la facevi. Hai scelto di non farlo. E a chi guarda (e a chi compra divani) tocca prenderne atto. Sono molti i nasi che si sono storti alla visione di questa pubblicità. La risposta aziendale alle critiche è stata quella standard e distaccata dello spiace se si è urtata la sensibilità e del non era intenzione.  D’altro canto è un team che ha dato l’ok al pubblicizzarsi con una clip con uomini che squadrano sederi di donna (pure convinti che fosse divertente per l’associazione col sedersi sui divani. Oltretutto, non che usare sederi di ambo i sessi sarebbe stato meglio, ma il fatto che abbiano usato solo sederi femminili ci racconta qualcosa), non possiamo aspettarci che arrivasse a capire che quello che ha trovato un parto creativo geniale possa essere, in verità, offensivo e irrispettoso.
Se l’azienda è davvero spiacente (o, anche se intimamente non spiacente, ha riconosciuto la discutibilità delle proprie decisioni), ce lo diranno le comunicazioni pubblicitarie a venire.


Anche grazie al ritorno in onda del filmino erotico di Chilly, c’è un bel po’ di oggettivazione del corpo femminile sui nostri schermi, ultimamente. Oggettivazione che saltella allegra a braccetto con casalinghe, creme anti-age (da iniziare ad applicare sempre più precocemente) e prodotti “beauty” il cui uso ci fa essere più autenticamente noi stesse per non si sa quale logica. Il mio invito, che più caloroso non si può, è quello di proteggervi e di proteggere le vostre figlie esponendole il meno possibile a questi messaggi. Non importa che siate sveglie e intelligenti (non dubito che lo siate), i messaggi si insinuano lo stesso e i risultati dell’assimilazione troveranno il modo di manifestarsi.

Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli spot!

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